Il Codice degli Appalti e il Contributo dei Professionisti all’ammodernamento del Paese
Intervento dell'ing. Carmelo Russo | Pres.Naz.le INARSIND
La chiara sensazione è che il nuovo codice dei contratti pubblici non guardi ai liberi professionisti Architetti ed Ingegneri per l’ammodernamento del Paese, ma si rivolga più decisamente verso altri soggetti.
Anzitutto perché pone in secondo piano la centralità del progetto, disconoscendone il valore culturale e trascurandone l’importanza tecnico-scientifica. Lo fa puntando decisamente sull’Appalto Integrato, ovvero all’affidamento ad un unico soggetto aggiudicatario della realizzazione dell’opera e della sua progettazione esecutiva.
La versione finale del codice, all’art. 44, ha eliminato anche la condizione che si dovesse trattare di lavori complessi e ormai l’Appalto Integrato è diventato lo strumento privilegiato dalle Stazioni Appaltanti, confermando quanto già anticipato dai provvedimenti connessi all’attuazione del PNRR.
Finalizzata al percorso tracciato appare anche la riduzione dei livelli di progettazione, ridotti da tre a due (art. 41), con conseguente scomparsa del livello intermedio, il Progetto Definitivo, e la previsione che sia il Progetto di Fattibilità Tecnica ed Economica (nel seguito PFTE) ad essere posto a base dell’Appalto Integrato, anche in questo caso come già anticipato dalle norme del PNRR (D.L. 77/2021, art. 48).
Un tale disegno incide profondamente nell’attività di progettazione e sottrae al costante dialogo che finora tradizionalmente è intercorso tra il professionista incaricato e la P.A. le scelte, anche quelle che potrebbero risultare strategiche.
Di fatto la S.A. rinuncia alla possibilità di una progettazione libera, autonoma in quanto elaborata a monte di quelle che, con l’aggiudicazione con il metodo dell’Appalto Integrato, sono le stringenti esigenze dell’impresa realizzatrice. Esigenze, si badi bene, pur legittime nel momento che si sceglie la strada dell’Appalto Integrato, ma che non è detto che rappresentino per la P.A. quelle che meglio incrociano le proprie, anche e soprattutto con riferimento ai costi che, nel passaggio dal PFTE al progetto esecutivo, potrebbero conoscere un considerevole aumento che non dovrebbe essere lasciato alle scelte dell’impresa.
Paradossalmente, il codice non disconosce nemmeno questo non trascurabile pericolo, anzi lo mette decisamente in conto, laddove al comma 2 dell’art. 41 prevede che La stazione appaltante o l’ente concedente motiva la scelta di cui al comma 1 con riferimento alle esigenze tecniche, tenendo sempre conto del rischio di eventuali scostamenti di costo nella fase esecutiva rispetto a quanto contrattualmente previsto
Che si tratti di una scelta che le S.A. intendono privilegiare e hanno già percorso abbondantemente è dimostrato dal fatto che nel rapporto del primo trimestre 2023 sullo stesso del 2022 gli appalti integrati crescono del 318,8% nel numero, dell’81,9% nel valore dei lavori e del 126,1% in quello dei servizi compresi nelle gare.
Se a questo uniamo il ritorno dell’incentivo per la progettazione interna agli uffici della P.A. (art. 45) come non escludere che la PFTE in house ed il successivo affidamento mediante l’Appalto Integrato diventino – o per meglio dire sono già – un combinato disposto che di fatto azzera qualsiasi ricerca progettuale e mette in toto nelle mani dell’Impresa non solo la realizzazione dell’opera, ma anche tutte le scelte progettuali connesse.
Noi continuiamo a pensare, invece, che si debba mantenere in capo all’Amministrazione il controllo della progettazione ed evitare che l’Appalto Integrato possa rappresentare, nel corso dello sviluppo della progettazione, uno stravolgimento anche economico della previsione iniziale.
E’ da evitare che debba essere la successiva fase della progettazione esecutiva – affidata all’aggiudicatario – a definire compiutamente il progetto e l’eventualità che, per sottostima e sottovalutazione dell’importanza che la redazione del PFTE assume, le Amministrazioni la limitino all’interno dei propri uffici, escludendo l’affidamento a professionisti esterni.
Peraltro c’è da dire che avere mantenuto la stessa dicitura – PFTE – per un livello di progettazione che nella sua nuova veste comprende ben più numerose ed onerose prestazioni ha indotto, nel caso di affidamento all’esterno, a sottovalutarne i conseguenti compensi, con grave danno per i liberi professionisti incaricati.
Oltremodo penalizzante per i Liberi Professionisti Architetti e Ingegneri che partecipano alle gare per l’affidamento dei servizi di Architettura e Ingegneria è la previsione del comma 11 dell’art. 100 che per le procedure di aggiudicazione di appalti, forniture e di servizi (quindi a meno di una precisazione che li escluda, anche per i servizi di Architettura e Ingegneria) limita al triennio precedente a quello di indizione della procedura il possesso di un fatturato globale non superiore al doppio del valore stimato dell’appalto.
Se pensiamo che per l’affidamento dei servizi di architettura e ingegneria si procede per affidamento diretto per servizi inferiori a 140 mila euro (art. 50) e a partire da questa cifra esclusivamente con il metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa (art. 108) non è difficile pensare che la richiesta di un tale requisito finirà con il limitare, di fatto, la partecipazione alle gare dei servizi di architettura e ingegneria degli studi professionali medio/piccoli che potrebbero invano continuare a rincorrere di anno in anno il livello di fatturato adeguato.
Peraltro tutto ciò appare in palese contraddizione con le norme in materia fiscale che, innalzando a ottantacinquemila euro l’importo di accesso alla “flat tax”, hanno ingenerato anche una corsa alla partita iva individuale a danno dell’associazione, nelle varie forme, tra professionisti. Da una parte si attraggono i professionisti verso il “singolo e piccolo è bello” dall’altra li si esclude da un significativo mercato di occasioni di lavoro.
Appare discriminatoria nei confronti dei Liberi Professionisti l’esclusione in via preliminare dalla Direzione dei Lavori (art.114, comma 6) dove il ricorso a professionisti esterni è limitato ai casi in cui le S.A. non dispongano delle competenze o del personale necessario ovvero nel caso di lavori complessi o che richiedano professionalità specifiche, ovvero qualora la stazione appaltante non sia una amministrazione pubblica, l’incarico è affidato con le modalità previste dal codice.
Analogamente dicasi per le attività di collaudo per le quali (art.116, comma 4) il ricorso a professionisti esterni è limitato ai casi di accertata carenza nell’organico della stazione appaltante, oppure di altre amministrazioni pubbliche, o nei casi di particolare complessità tecnica, la stazione appaltante affida l’incarico con le modalità previste dal codice.
Peraltro, oltre che discriminatorie, le norme sopracitate mostrano di trascurare la ormai acclarata carenza di organico degli uffici della P.A.
Nonostante che in occasione dei casi in cui l’affidamento di servizi di Architettura e Ingegneria a titolo gratuito abbia generato ampio scandalo anche presso esponenti politici, il nuovo codice ne contempla la possibilità (art. 8). Né può rassicurarci che debbano limitarsi a casi eccezionali e previa adeguata motivazione.
Da quanto sopra credo di avere motivato quando affermato all’inizio del mio intervento.
La sensazione è che non ci sia adeguata consapevolezza del ruolo che le libere professioni tecniche possono interpretare per lo sviluppo del nostro Paese; assai raramente si identifica la progettazione come attività culturale, di ricerca e di elaborazione e ancor meno, pur in presenza di problemi infrastrutturali e non già noti, si crede nel progetto come investimento da fare oggi in vista delle possibilità economiche che domani potranno consentirne la risoluzione.
Su quest’ultima non trascurabile considerazione, del resto, pare si stia giocando, proprio in questi giorni, un pezzo importante del futuro nostro e delle generazioni a venire: il riferimento è alle vicende del PNRR, seppur non riguardino allo stesso modo l’intero territorio nazionale.